Delicta iuris gentium

Raphael Lemkin

Tuesday, October 5, 2010

I simboli di un’identità forte come la roccia


Scolpiti nelle mura delle chiese, appoggiati nei cortili dei monasteri, conficcati nel terreno circostante con la faccia rivolta a occidente oppure disseminati ai lati delle strade, ai bordi dei campi, ai crocicchi o sulla cima delle colline: i khachkar, le grandi stele di roccia intagliate con un rilievo ornamentale a forma di croce, di solito circondato da un intricato motivo vegetale, sono una caratteristica onnipresente dei siti cristiani armeni e non è raro vederne decine, ordinatamente disposti lungo il muro esterno di una chiesa, delle più diverse dimensioni e livelli di finitura. Sui più semplici è intagliata solo la croce, ma spesso quest’ultima poggia su un motivo circolare, che rappresenta generalmente il sole, ed è circondata da una o più cornici geometriche o figurative. Con il passare dei secoli, una miriade di altri motivi – intrecci vegetali, uccelli, animali, rosette, palme, fino a vere e proprie scene di battaglia – si sono aggiunte alla rappresentazione centrale della croce.

I primi khachkar risalgono all’VII secolo d. C. e il periodo di massima fioritura di questa forma d’arte unicamente armena viene generalmente collocata nei secoli XII e XIII. A quell’epoca risalgono gli esemplari di khachkar più intricati e complessi, opera in alcuni casi, si dice, di quello stesso architetto Momik che in quegli anni progettava lo spettacolare monastero di Noravank.

Dietro l’erezione di un khachkar potevano esserci i motivi più svariati: dalla commemorazione della costruzione di una chiesa, di una casa o di una fortezza all’inizio di una attività, di un viaggio, di un commercio. La firma di un contratto, l’inizio o la fine di una guerra, così come un miracolo, la bonifica di un nuovo campo o la nomina a un incarico importante; oltre, naturalmente, alla morte di una persona cara, con i khachkar che svolgevano spesso la funzione di cippo funerario. Ogni evento significativo della vita pubblica o privata di una persona o di una comunità poteva essere segnato dalla posa di un khachkar. Caratteristica è la loro collocazione: sempre all’esterno, dove chiunque li possa vedere e fermarsi a rendere loro omaggio. D’altra parte, la posa di un khachkar era un evento religioso con il proprio specifico cerimoniale: per prima cosa la croce di pietra veniva benedetta da un sacerdote, con la lettura della Scrittura, quindi veniva "unta" con il crisma oppure con acqua e vino.

Anche i khachkar, come tutti i simboli della cultura armena, non sono rimasti immuni dalle guerre e dagli sconvolgimenti dei secoli. Fino a qualche decina di anni fa, il più grande "cimitero" di khachkar del mondo era quello di Jugha, nel Nakhichevan, prima di scomparire in quella che è stata descritta come la versione europea della distruzione dei Buddha afghani da parte dei Taliban. Il Nakhichevan è una enclave dell’Azerbaijan incastrata tra l’Armenia e l’Iran, che dai tempi della guerra del Nagorno Karabakh è rimasta sospesa in un limbo: è possibile raggiungerla solo per via aerea dall’Azerbaijan. Il cimitero di khachkar di Jugha risaliva al XIII secolo e sarebbe arrivato a contenere fino a 20 mila croci. La città era stata abbandonata dopo che la popolazione locale era stata trasferita dallo scià di Persia. Gli ultimi viaggiatori armeni a visitare la zona prima della guerra, nel 1987, avevano descritto un cimitero già rovinato dall’incuria del Governo sovietico. Dopo voci contraddittorie sulla distruzione dei khachkar, negate con forza dal Governo azero, un ampio servizio dell’Institute for War and Peace Reporting ha rivelato nel 2006 che il cimitero era completamente scomparso. Gli abitanti del vicino villaggio negavano anzi che ci fosse mai stato un campo di khachkar nei paraggi.

Alessandro Speciale

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