Delicta iuris gentium

Raphael Lemkin

Sunday, May 30, 2010

Bulldozer all'opera, cristianesimo in frantumi

Antonia Arslan, su Avvenire 12 luglio 2006

I simboli della Passione segnavano il paesaggio abitato dagli armeni, come chiese all'aperto o luoghi di memoria. Un nuovo genocidio è in atto per cancellarli
C'è qualcosa di lugubre e di osceno nelle fotografie della distruzione delle croci, come se guardando quelle immagini fossimo investiti direttamente - e concretamente - dal vento di follia che spira in tutta l'Europa, un vento che si abbatte furioso contro il cristianesimo e contro i suoi simboli, fino a certe prese di posizione ridicole, da gioco delle parti in una triste Commedia dell'Arte, che mai oserebbero essere rivolte verso i simboli o le prescrizioni di altre religioni, come per esempio l'uso musulmano di sgranare i rosari d'ambra o l'obbligo di togliersi le scarpe entrando in una moschea.
Mio nonno, il patriarca Yerwant, ne aveva uno, di questi, e lo usava spesso, sgranando i grani dagli opachi bagliori giallastri con movimenti attraverso i quali noi bambini sapevamo interpretare benissimo il suo umore, e spesso ce ne raccontava l'uso. Mai lo avrebbe usato impropriamente, o ce lo avrebbe dato in mano per giocarci. Lo trattava con lo stesso rispetto con cui maneggiava il bellissimo libro di preghiere in caratteri armeni che teneva sul comodino, proibitissimo alle nostre dita, o i tanti ricordi dei suoi malati che conservava invece in un suo cassettino segreto, alcuni francamente ingenui, simili a goffi ex-voto, ma che ci lasciava soltanto ammirare di lontano, perché - diceva - erano il simbolo del cuore dei donatori.
Il simbolo della croce di Cristo pervade e connota il paesaggio urbano dell'Europa intera, interpretato nei modi e nelle forme più diverse, dai più grandi artisti ai più umili scalpellini, e il panorama delle nostre città sarebbe irriconoscibile senza di esso, come quello delle grandi città del Medio Oriente se fossero private dei loro minareti. Ma le croci armene, i "khatchkar", non stanno sulle cime dei campanili, non svettano alte e orgogliose: si allineano dovunque hanno abitato gli armeni, l'una appresso all'altra, come a farsi compagnia e coraggio, ai bordi dei campi e lungo le rive dei fiumi, o a centinaia nei luoghi del ricordo: queste spoglie pietre rettangolari, secolo dopo secolo piantate nella terra e scolpite con la croce, accompagnata spesso da iscrizioni o da sculture di fiori e frutta, sono il simbolo della vita che sorge dalla morte e della Resurrezione di Cristo.
Non sono pietre tombali, non sempre; sono ricordi carichi di storia, segni che identificano un paesaggio come abitato dagli armeni, coltivato da loro, disseminato dei simboli della loro antichissima fede. I campi di "khatchkar" sono luoghi di suggestione infinita, come chiese all'aperto, dove si rammemora e si innalzano preghiere come canti, non per una singola persona ma per l'intero popolo dei morti, di coloro che sono andati avanti sulla strada di Dio.
Gridano le migliaia di antichissime croci di pietra distrutte coi bulldozer nel Nakhicevan, e da ogni frammento si alza il lamento di una civiltà distrutta; e guardano atterriti gli armeni, dovunque la dura legge della diaspora li abbia disseminati, l'irriconoscibile spianata disseminata di irriconoscibili frantumi.

Al genocidio del sangue segue il genocidio della memoria.

http://www.internetica.it/CrociArmene-scempio.htm

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